PERCHE’ IL CARCERE DI SAN VITTORE NON DEVE CHIUDERE
La risposta del Consiglio Direttivo della Camera Penale al Ministro Orlando
Le dichiarazioni del Ministro Orlando riportate oggi sul quotidiano La Repubblica relative alla volontà del Governo di vendere alcuni storici penitenziari, tra i quali il carcere di San Vittore, collocati all’interno delle grandi città, destano preoccupazione.
Se, da un lato, non possiamo non condividere le premesse del ragionamento, che si fondano sull’auspicabile cambiamento di mentalità con riguardo alla funzione del carcere, risocializzante e responsabilizzante, e sulla inadeguatezza di vecchie strutture pensate, anche strutturalmente, in un’ottica di pura sorveglianza, non condividiamo dall’altro le conclusioni del ragionamento del Ministro.
San Vittore è una casa circondariale, con esigenze e funzioni differenti rispetto alle case di reclusione, per le quali certamente la struttura deve essere coessenziale rispetto alle finalità rieducative della pena. Gli imputati in custodia cautelare devono essere tradotti verso il Tribunale, e i costi delle traduzioni sono certamente inferiori per una struttura vicina al palazzo di giustizia. Le difficoltà logistiche delle famiglie di chi sia temporaneamente detenuto devono essere tenute in considerazione. Ma più di ogni altro aspetto, deve essere tenuto in considerazione quello che San Vittore è stato nella transizione che ha portato al passaggio fondamentale degli Stati Generali dell’esecuzione penale. Il carcere si è aperto verso la società civile proprio grazie al fatto che luoghi come San Vittore siano frequentati ogni giorno da volontari, operatori, studenti. Il solo fatto simbolico di avere un carcere nel cuore della città ricorda a tutti i cittadini come il tema dell’esecuzione penale e del recupero alla società di chi è in carcere non possa essere rimosso con l’allontanamento fisico e mentale del problema.
La doverosità di interventi strutturali che rendano San Vittore un carcere dignitoso, che ne recuperino aree chiuse da anni, che ne consentano un’utilizzazione più razionale è fuori discussione, in linea peraltro con le conclusioni del Tavolo 1 degli Stati Generali voluti dallo stesso Ministro. Ma crediamo che il dato economico in sé non possa far perdere di vista considerazioni differenti, che, come detto, si fondano sulla distinzione tra case circondariali e di reclusione e sulla importanza di luoghi simbolici senza i quali la mutata concezione della finalità della pena non potrà mai divenire patrimonio condiviso da tutti i cittadini.
Milano, 28 maggio 2016
IL CONSIGLIO DIRETTIVO




