Documento del Consiglio Direttivo

17 Dicembre 2015Categorie: Archivio

Il documento del Consiglio Direttivo relativo a recenti dichiarazioni nell’ambito del processo Stasi






PROCESSO MEDIATICO E INTERFERENZE SULLA DECISIONE

Meritano una riflessione le osservazioni del difensore dell’imputato e  dell’avvocato della parte civile a commento della decisione con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Milano per l’omicidio di Chiara Poggi. Da un lato, si è fatto riferimento espresso al peso sull’esito del processo di “tutte le telecamere che sono qua”. Dall’altro, si è replicato che, invece, “i processi mediatici vanno tendenzialmente e correttamente forse verso l’accertamento maggiore dei fatti”.

 

Il tema era stato affrontato anche nella requisitoria del Procuratore Generale, che è stata riportata tra virgolette da tutti gli organi di informazione in questi termini: la vicenda processuale è stata oggetto di “una perniciosa forma di spettacolarizzazione” attraverso “quei processi televisivi che inquinano la capacità di giudizio degli spettatori, tra i quali, forse nessuno ci pensa, rientrano anche i giudici, togati e popolari, di queste vicende”.

 

I protagonisti del processo in esame, dunque, paradossalmente concordano sul punto di partenza degli opposti ragionamenti, che è, invece, di solito fermamente negato da chi riveste funzioni giudicanti: l’influenza dell’azione degli organi di informazione sull’iter procedimentale; con il risultato di un “maggiore accertamento del fatto”, secondo gli uni, ovvero di una “perniciosa forma di spettacolarizzazione che inquina la capacità di giudizio”, secondo gli altri.

Il che è, comunque, un dato che non può che dare ragione a chi ha lanciato allarmi sulla gestione, da parte dell’informazione, specialmente televisiva, del diritto di cronaca rispetto a vicende processuali in corso.

 

La recente astensione indetta dall’Unione delle Camere Penali Italiane, in particolare, aveva tra i propri motivi fondanti proprio la preoccupazione per la realizzazione di “un nuovo modulo nel quale la “rappresentazione” del processo anticipa il processo stesso: immediata diffusione delle immagini degli arresti più clamorosi (Carminati, Bossetti, ANAS …), puntuale diffusione dei materiali delle indagini preliminari dotati di particolare efficacia (audio originali delle intercettazioni, video ambientali, sequestri …). Tramite questa modalità, non solo si pubblicizza l’efficacia dell’azione delle Procure, ma si mostra il risultato dell’indagine come un dato definitivo ed indiscutibile, dotato in questa maniera di una oggettiva ed inconfutabile evidenza, che si stabilizza nell’opinione pubblica, influenzandola irrimediabilmente, attraverso una inedita azione di imprinting mediatico e che condiziona ogni successiva fase del processo, fino ad intaccare irrimediabilmente la stessa verginità cognitiva del giudicante. Il circuito mediatico-giudiziario ha oramai abbandonato la sua vecchia modalità relazionale fra media e processo, per divenire un vero e proprio strumento strategico di compressione della dignità dell’indagato, di mortificazione e di condizionamento del processo”.

 

Da un lato, infatti, non si può ignorare l’esigenza di informare correttamente, vieppiù di fatti di cronaca giudiziaria; dall’altro, però, si deve prendere atto delle inevitabili conseguenze sui soggetti del processo, in termini di interferenze sui percorsi decisionali degli stessi.

 

E che i giudici abbiano, nel caso specifico e in altri, preso determinate decisioni con il contributo decisivo dell’azione degli organi di informazione è dubbio forte, che deve essere di monito a tutti quei soggetti che nel processo operano. In particolare, per gli avvocati, deve essere la ragione per calibrare in modo molto attento i propri interventi nei rapporti con la stampa e l’informazione in generale, con una serie di scrupoli che devono aggiungersi alle linee minime di prudenza imposte dal codice deontologico. Per i magistrati, tale dubbio deve portare ad uscire dalla ipocrisia per la quale solo ciò che è nel processo ha un’influenza su di esso; ed è così che vengono liquidati come irrilevanti casi come quello del video del camion nella vicenda Bossetti, non facente parte degli atti processuali. Per i giornalisti, esso deve condurli ad assumersi la responsabilità del fatto che l’anticipazione dei processi attraverso i mezzi di informazione comporta conseguenze irreparabili, positive o negative che siano, sui processi stessi; essi, quindi, devono evitare di essere strumento di manipolazione dell’esito processuale, secondo logiche non sempre facilmente individuabili o rispondenti al solo diritto di cronaca.

 

Milano, 16.12.2015

Il Consiglio Direttivo

Allegati e link