12/12/2017 - Documento della Camera Penale di Milano del 12 dicembre 2017


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I Colleghi più giovani non ricorderanno che una sentenza della Corte Costituzionale del 1991 aveva ritenuto illegittima la disciplina dell’art. 442 c.p.p. nella parte in cui prevedeva che, per i reati punibili con l’ergastolo, la sanzione fosse ridotta ad anni trenta nel caso si fosse – appunto – celebrato il processo nelle forme del rito breve: la criticità risiedeva in un eccesso di delega e nel 2001, con legge ordinaria, fu ripristinata la possibilità di accedere al giudizio speciale per tali delitti con le evidenti finalità deflattive del carico di lavoro già caratteristiche del testo originario del 1989.

Ora, un disegno di legge, già approvato dalla Camera, con voto trasversale, il 28 novembre e trasmesso celermente al Senato, introduce modifiche al codice di procedura penale volte a riproporre, nel giudizio abbreviato, gli stessi limiti che aveva imposto la richiamata decisione del Giudice delle Leggi.  Ma non solo, come vedremo.

La novella prevede la possibilità di “recupero” del rito qualora si realizzi una modifica della contestazione, ai sensi dell’art. 516 c.p.p., imputando un reato per il quale è prevista una pena temporanea, ma anche quella di formulare una richiesta subordinata ad una, eventuale, diversa qualificazione giuridica del fatto che escluda la irrogazione dell’ergastolo, e, ancora, di proporre la richiesta al giudice del dibattimento qualora il decreto che lo dispone abbia qualificato il fatto diversamente rispetto ad una richiesta di rinvio a giudizio contemplante un crimine sanzionato con “fine pena mai”.

Più d’una osservazione si potrebbe spendere anche su tali aspetti, ma, trattandosi di un disegno di legge alla prima lettura, non è mestieri dilungarsi oltre i passaggi fondanti, valutando la eventualità che intervengano delle modifiche.

Un altro aspetto della proposta novella, tuttavia, è da porre subito in evidenza poiché qualifica lo spirito che anima il legislatore: si tratta di un intervento sull’art. 69 c.p. che preclude, in tutti i delitti contro la persona,  la possibilità di bilanciare le attenuanti con le aggravanti sub art. 61 n. 1) e 4), salvo operare le riduzioni di pena sulla dosimetria finale risultante dopo il computo delle aggravanti medesime.

Gli intendimenti sono chiari: soddisfare le esigenze di presunta “negata giustizia” provenienti da un corpo elettorale – il termine sembra più opportuno rispetto ad “opinione pubblica” – che richiede pene esemplari a seconda della emergenza di turno sebbene ciò contrasti prima ancora che con il canone costituzionale che ne postula le finalità rieducative con il buon senso: l’inasprimento delle sanzioni, infatti,  storicamente e statisticamente non ha mai comportato una significativa riduzione dei crimini corrispondenti.

Il processo penale, ormai, è evidentemente diventato uno dei campi di battaglia dove si conquistano maggiori consensi purché si dia voce alle istanze securitarie nel disinteresse assoluto, anzi arretrando sistematicamente sul terreno delle garanzie e dell’equilibrio che lo devono caratterizzare.    

Milano 11 dicembre 2017    

                                                                                                                              Il Consiglio Direttivo