01/06/2016 - Documento del Consiglio Direttivo del 1 giugno 2016


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Documento sull'abuso della custodia cautelare in carcere

Oggi, 1 giugno 2016, piangiamo l’ennesima vittima di un sistema  processuale che consente l’abuso della misura cautelare custodiale.

Arrestato per essere stato trovato in possesso di un’arma, gravato da precedenti penali bagatellari, malato di una grave forma di cirrosi epatica con diversi interventi chirurgici alle spalle, S.R. veniva ritenuto di tale pericolosità sociale da giustificare l’applicazione della misura cautelare in carcere, nonostante la difesa rilevasse la preesistenza di uno stato di salute incompatibile con la detenzione inframuraria.

Il lunedì mattina successivo all’arresto, avvenuto il venerdì e convalidato il sabato, veniva disposto il ricovero in ospedale in regime di urgenza; fortunatamente veniva autorizzato, seppur solo nel pomeriggio, il colloquio con i parenti e, nel tardo pomeriggio, revocata la misura custodiale perché “a fronte di tale sopravvenuto stato di morbilità siano (ndr. sono) venute meno le esigenze cautelari che giustificavano l’adozione della misura”.

Ieri mattina S.R. si è spento in ospedale.

Piangiamo la perdita dell’ennesima vita umana, uguale a quella di coloro che la perdono in fondo al mare, durante i viaggi della speranza, alle vittime della strada, alle donne che cadono sotto la violenza degli “amori assassini”, uguale a qualunque altra vita umana.

Il rispetto per la vita e la dignità di ogni essere umano ci spingono a denunciare la gravità di quanto accaduto. Sin dall’adozione del codice di procedura penale del 1988, e ancor prima con la riforma delle misure cautelari, la custodia in carcere è sempre stata strutturata, in conformità peraltro con l’art. 13 Cost., quale misura estrema da adottare solo ed unicamente quando le altre misure coercitive, meno afflittive, risultino inadeguate. L’art. 275 c.p.p. ha, inoltre, sempre previsto che tale misura non possa essere adottata se non in presenza di esigenze di eccezionale rilevanza nel caso di gravi condizioni di salute. I numerosi interventi di maquilllage legislativo, a partire dalla L. n. 332 del 1995 e di recente con la L. n. 47 del 2015, non hanno fatto altro che introdurre aggettivi ed avverbi volti a delimitare il potere discrezionale del giudice e a non consentire il superamento del principio di residualità del carcere in fase cautelare.

Tutto inutile, se si pensa che si è potuta verificare una situazione come quella descritta.

E se l’applicazione distorta delle norme diviene la regola, va sottolineato come le riforme legislative, senza un’adeguata base culturale, siano inutili.

Il peso dell’opinione pubblica rispetto al rischio di recidiva, i continui e immotivati allarmi sulla “sicurezza”, la difficoltà evidente di assumere decisioni anche se impopolari sono segnali preoccupanti che vanificano gli sforzi legislativi volti ad evitare l’abuso della custodia cautelare in carcere.

Il dato statistico aggiornato a ieri dei detenuti in attesa di giudizio, paragonato a quello antecedente all’ultimo intervento legislativo di aprile 2015, ne dimostra l’inutilità: una minima diminuzione del numero di detenuti in attesa di primo giudizio e la sostanziale stabilità dei detenuti non definitivi ma condannati in primo grado (si parla di circa 9000 persone per ognuna delle categorie che sommate rendono la percentuale di detenuti non definitivi rispetto ai definitivi tuttora elevatissima).

Ancora una volta, ci domandiamo se l’operazione culturale voluta dal Ministro Orlando attraverso gli Stati Generali dell’esecuzione penale abbia qualche speranza di portare buoni frutti, a fronte dell’evidente resistenza della magistratura a vedere limitato il proprio potere discrezionale nell’ottica di una riduzione della custodia cautelare.

La Camera Penale di Milano, da sempre attenta alla situazione di chi si trovi in uno stato di privazione della libertà, intende stigmatizzare gli avvenimenti come sopra narrati. Si farà carico di far ulteriormente emergere come la triste condizione carceraria attuale, lungi dal realizzare le condizioni proprie della legge e, in particolar modo, della Costituzione, sia divenuta strumento deviato in una errata valutazione di prevenzione generale, senza tener in alcun conto la singolarità delle diverse vicende umane.

                                                           Il Consiglio direttivo