22/05/2017 - QUANDO AD ESSERE TORTURATO E’ IL DIRITTO


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Documento del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Milano del 22 maggio 2017

QUANDO AD ESSERE TORTURATO E’ IL DIRITTO

La cultura del diritto non abita più qui, forse neppure la cultura.

Dopo la Camera, con il d.l. sulla legittima difesa, il 17 maggio, è stato il turno del Senato di licenziare un testo, quello da tanto tempo atteso sulla introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura, assolutamente non condivisibile: quanto approvato, infatti, rende di fatto inapplicabile la norma, salvo modifiche, pur sempre possibili, nel successivo passaggio parlamentare.

A prescindere dal fatto che la fattispecie perde la caratteristica di reato proprio (la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio residua quale mera circostanza aggravante) con ciò indebolendo la ratio della norma come conosciuta in altri sistemi e voluta dal diritto pattizio al fine di contrastare gratuite violenze poste in essere da appartenenti alle Forze dell’Ordine, è la definizione di condotta punibile, cioè a dire uno degli elementi costitutivi della fattispecie, che induce la considerazione circa la inapplicabilità concreta.

La vanificazione sostanziale dello statuto penale traspare oltre che dal richiamo alla crudeltà, connotazione non agevole da obiettivare, dal confuso richiamo ad una reiterazione di azioni cui deve conseguire una acuta sofferenza fisica. Il primo e non specifico quesito cui offrire una risposta, in sede di applicazione della disciplina ed in mancanza di lesioni e/o esiti permanenti, consisterebbe proprio nella dimensione della sofferenza patita.

Tra le diverse riscritture del testo originario è stato aggiunto il riferimento alla commissione di più condotte: in sede di interpretazione una locuzione simile è - a sua volta -  suscettibile di ingenerare fortissime perplessità laddove si ritenga che debbano essere diverse e temporalmente distinte; peraltro, attestandosi sul più immediato significato letterale, un'unica “sessione” di waterboarding, per esempio, potrebbe escludere la punibilità.

Non è, inoltre, privo di rilievo il riferimento relativo alle torture psicologiche integrato esclusivamente dalla provocazione di un verificabile trauma psichico in danno di persona privata della libertà personale ovvero affidata a cura, custodia, vigilanza o assistenza dell’agente: il che comporta una problematica allegazione della prova relativa ai postumi ed al nesso di causalità soprattutto se gli accertamenti diagnostici siano significativamente posticipati nel tempo.

La Camera Penale di Milano sul tema della tipizzazione del reato di tortura ha sempre mostrato la massima sensibilità, da ultimo impegnando, con una mozione congressuale, la giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane a stimolare il legislatore e vigilare sulla priorità e i contenuti da darsi all’iter parlamentare di un d.d.l. da troppo tempo languente, nel rispetto delle Convenzioni internazionali, ratificate dall’Italia, che costituiscono l’unico vero perimetro cui attenersi per un paese democratico che voglia effettivamente condannare gravi violazioni dei diritti umani anziché proteggere altri interessi di rango inferiore, quali il prestigio delle forze dell'ordine.

Alla stregua di queste prime osservazioni e nell’auspicio che l’intervento normativo possa recuperare le connotazioni e i valori espressi dal testo originario, il Consiglio Direttivo – allo stato – non può che formulare la più ferma critica alla formulazione attuale del testo degli artt. 613 bis e ter del codice penale.

Milano, 22 maggio 2017

                                                                                                          Il Consiglio Direttivo